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La fiamma di Yerevan

Gli studenti e le studentesse della 4ASU hanno partecipato al concorso “Adotta un giusto” organizzato da Gariwo – La foresta dei giusti, associazione ONLUS milanese che promuove la memoria dei giusti. Il loro lavoro è risultato vincitore per la categoria Testi. Pubblichiamo lo scritto premiato
Il Memoriale del Genocidio armeno a Yerevan.
File con licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

24 aprile 2915. La fiamma di Yerevan si era spenta. Quasi tutti avevano dimenticato il Metz Yeghern.

Nairí, ragazza armena, decide di recarsi al memoriale come avevano sempre fatto i suoi antenati. Quello stesso giorno un ragazzo turco, Emre, stava facendo la stessa cosa perché aveva scoperto di avere degli antenati armeni. Giunti al memoriale per omaggiare il ricordo, si incontrano, ma sono colti dalla desolazione: non un fiore, non un suono, non una parola, ma soprattutto della fiamma del ricordo non restava che della brace, che si stava raffreddando sempre di più.

I due si guardano: “Troppe persone sono morte a causa di questo genocidio”. “Tu hai ancora qualcuno?” “No, sono sola”. “Anch’io sono solo”. Regna un lungo silenzio doloroso, e poco dopo.

“Vuoi che… diventiamo fratelli?”. E si adottano l’un l’altro.

Cominciano a percorrere il perimetro del grande edificio. Nairí vede addossato ad una parete un libro. Incuriositi lo raccolgono e iniziano a sfogliarlo, ma non trovano scritto niente, solo pagine ingiallite e strappate.

Mentre sono intenti a guadare il libro, davanti a loro si materializza un’ombra che inizia a parlare e dice: “Sono Orhan Pamuk, scrittore turco del XXI secolo; ho combattuto contro il negazionismo promosso dal governo del mio paese sul genocidio degli Armeni. Ho lasciato da parte le mie paure e ho denunciato la strage che era stata commessa prendendo le parti degli oppressi, nonostante non avessi alcun interesse nel farlo, essendo turco. Sono qua per dirvi che la fiamma del memoriale si è spenta perché soffocata dall’odio e dal razzismo.

Voi ragazzi dovete riaccendere la fiamma che per secoli è stata accesa e combattere contro questi mali, perché bisogna ricordarsi che l’odio è come un muro: qualcosa davanti al quale non bisogna fermarsi. Il modo migliore per evitare un muro è comportarsi come se questo non esistesse, avendo ben presente che esiste, ma non facendosi condizionare dalla sua presenza. Continuate a combattere per non dimenticare”. Detto questo, scompare.

I ragazzi proseguono. In un cumulo di rose ormai appassite, una sola mantiene i suoi colori. I ragazzi la vedono e la raccolgono; in quel momento appare uno spirito dalle sembianze femminili:

“Sono Zabel Yessayan, una scrittrice armena. Sono stata l’unica a pronunciare una difesa in favore del poeta Charents, pur sapendo a cosa sarei andata incontro. Credo però che si debba lottare per la giustizia, i diritti di tutti e schierarsi sempre dalla parte del bene. Ricordate ragazzi: non abbassate mai la testa di fronte alle ingiustizie imposte dalle autorità. L’indifferenza di fronte al male aumenta solo l’odio.

Lo spirito si dissolve e i ragazzi, ispirati dalle sue parole, proseguono. D’un tratto, un usignolo zoppicante cade vicino ai loro piedi; vedendolo in difficoltà, lo raccolgono e mentre lo tengono tra le mani, compare un’ombra: “Sono Hrant Dink, giornalista armeno ucciso nel 2007 in Turchia.

La fiamma di questo luogo non arde più a causa dell’odio e del razzismo; per tentare di ravvivarla, oggi ho un messaggio da darvi. Credo ancora nella possibilità di far convivere turchi e armeni, per vederli uniti e senza pregiudizi proprio come voi. Nonostante l’inquietudine possa prendere il sopravvento nel vostro animo, non abbiate timore di sostenere le vostre idee e lottare per la vostra identità. Ricordatevi che la libertà è il bene più grande che l’umanità possa possedere e dovete battervi per essa affinché nessuno pensi di potervela sottrarre. Tenete sempre vivo il ricordo”. E dopo queste parole l’usignolo si alza in volo, lasciando i ragazzi al loro cammino.

L’animo di Emre e Nairí inizia a rasserenarsi; le parole di questi personaggi avevano accresciuto in loro il desiderio di far risplendere di nuovo quella fiamma. In quel momento notano uno strumento simile a un flauto: è un duduk. E allora pensano che forse, se fossero riusciti a suonarlo, avrebbero risvegliato la speranza e il ricordo negli uomini. Ci provano, ma all’inizio escono soltanto suoni stridenti e stonati. Scoraggiati, i ragazzi stanno per posare lo strumento quando da esso fuoriesce uno spirito che dice: “Oriente e Occidente non sono come l’acqua e il petrolio. Possono mescolarsi e fondersi in modo intenso, incessante e mozzafiato. Sono Elif Shafak, scrittrice turca che si è sempre battuta per mantenere vivo il ricordo del genocidio armeno. Ho sempre promosso la tolleranza tra i popoli e lottato affinché ci fosse unione e alleanza tra di essi. Vi affido questo duduk, strumento simbolo dell’unione armena, che con la sua melodia renderà possibile il ricongiungimento dei due popoli presso il Memoriale. Suonatelo e assisterete alla sua magia”. 

Così Nairí prova a suonare il duduk mettendoci tutto l’amore e tutto il dolore che aveva in corpo, mentre Emre le posa una mano sulla spalla. Allora esso inizia a emettere una melodia meravigliosa. Dopo qualche minuto gruppi di persone incuriosite si avvicinano, incamminandosi verso il centro del memoriale. Mentre Nairí suona il duduk, la rosa inizia a diffondere un intenso profumo e l’umanità dei presenti torna a fiorire. Emre allora raccoglie il libro e improvvisamente si accorge che le parole delle ombre erano rimaste impresse nelle sue pagine. Quindi inizia a leggerlo ad alta voce e la gente si mette ad ascoltarlo. Infine l’usignolo, guarito, vola quattro volte attorno al braciere, che inizia a riscaldarsi. In quel momento tutti ricordano il Metz Yeghern e si abbracciano, armeni e turchi, come un unico popolo. E la fiamma torna ad ardere.

La fiamma del Memoriale del Genocidio armeno a Yerevan.
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